Una lettera scritta ai giornali per difendere i piccoli Comuni italiani

Considerata la drammatica situazione geopolitica che stiamo vivendo, ho dovuto vincere una notevole resistenza nello scrivere questa lettera, in quanto l’attenzione di tutti noi deve sempre di più essere rivolta alla tragedia della guerra.
Ma ho vinto queste resistenze. Ho ritenuto che fosse comunque mio dovere continuare a fare tutto il possibile per condividere la ormai insostenibile situazione in cui versano da oltre 20 anni i piccoli Comuni italiani.

Lo sto facendo da quando ho l’onore di essere Sindaco del mio paese (Pieve di Cento, un piccolo e splendido Borgo della bassa pianura bolognese). Lo faccio, ogni volta che riesco, quando ci riuniamo fra colleghi e colleghe. Ho cercato di farlo scrivendo e parlando ai rappresentanti delle Istituzioni. Ora ho pensato che fosse giusto e necessario farlo così, chiedendo alla stampa di aiutarmi a condividerla con il maggior numero di persone possibile: governanti, dirigenti politici, funzionari di istituzioni ma anche cittadine e cittadini. La situazione che sento il dovere di condividere è molto semplice nella sua insostenibilità, ingiustizia e iniquità.

Il sistema della cosiddetta “finanza locale”, ma più in generale il sistema di governo locale non può più funzionare così. Stiamo viaggiando su un treno che sta andando a sbattere e io mi sento in dovere, con umiltà ma anche con passione, di gridarlo. Ai Comuni viene chiesto sempre di più in termini di servizi e responsabilità (in tutti i campi: dai servizi sociali ai lavori pubblici, dai servizi scolastici a quelli demografici/stato civile/elettorale, dalla protezione civile alla gestione ambientale) ma vengono date sempre meno risorse economiche e umane per fare ciò che gli viene chiesto. I Comuni (e le loro Unioni), sia gli amministratori che le persone che tengono vivi gli uffici, sono in prima linea in tutto ciò che ha a che fare con il vivere quotidiano dei cittadini, e quindi dai Comuni dipende gran parte della qualità della vita delle persone. Ma come è possibile continuare a reggere questa “prima linea”, magari cercando nel frattempo anche di costruire progetti per il futuro delle proprie comunità, se mancano le risorse economiche e umane per farlo?

I Comuni sono il primo baluardo della Democrazia, sono il fronte più vicino ai cittadini per offrire aloro servizi, sono il primo luogo dove cresciamo come cittadini. I Comuni non possono essere lasciati soli anche e soprattutto perché, se il treno arriverà a sbattere, a farne le spese non saranno solo i Comuni e i loro Sindaci ma saranno tutti i cittadini italiani, a partire da quelli più fragili per arrivare a tutti gli altri. Se i legislatori non interverranno al più presto, i Comuni di piccole dimensioni (e quindi anche le loro Unioni di Comuni) presto non riusciranno più a rispondere ai bisogni dei loro cittadini. Alcuni potranno resistere ancora qualche anno, alcuni meno.

Quelli più in difficoltà sono quelli particolarmente “poveri” di aree urbane che generano IMU (zone industriali, commerciali e terziarie), o quelli con una media di reddito pro-capite più bassa (quindi con basse entrate addizionale IRPEF). Oppure sono quelli che hanno ereditato un maggior numero di mutui da pagare. Oppure quelli che hanno avuto la sfortuna di avere sul proprio territorio il maggior numero di persone che non versano i tributi o, peggio ancora, quelli che hanno avuto la disgrazia di avere uno o due grandi evasori che non hanno mai pagato quanto dovuto alla comunità che li ospita, facendo così mancare al Comune ingenti risorse necessarie per erogare servizi ai propri cittadini. Purtroppo ci sono Comuni che hanno già iniziato a cedere, altri lo faranno. Dopo aver fatto di tutto per eliminare sprechi e inefficienze, dopo aver con responsabilità aumentato tutti tributi e le tariffe che era possibile aumentare, alcuni Comuni hanno iniziato a tagliare servizi: chiudere sezioni di nido, chiudere biblioteche, non riuscire a rispondere alla domanda delle scuole per l’assistenza ai bambini e bambine con bisogno di aiuto, chiudere sportelli, ridurre l’assistenza agli anziani (anche tramite le Residenze per Anziani pubbliche), chiudere (o non aprire) musei e pinacoteche, ridurre la pulizia e manutenzione delle strade, la manutenzione del patrimonio, lo sfalcio dei parchi, le potature degli alberi. Alcuni Comuni già hanno iniziato e altri inizieranno, è solo questione di tempo.

Sul fronte finanziario il quadro è chiaro: da quando è stata tolta l’ICI prima casa nulla è stato fatto per risarcire adeguatamente i Comuni della mancata entrata, anzi, progressivamente tutti i Governi (fatta eccezione per la gestione emergenziale del COVID) hanno, chi più chi meno, ridotto i trasferimenti ai Comuni senza nemmeno concedere a loro la possibilità di avere autonome “leve” fiscali per tenere in piedi dei bilanci in cui invece le spese, anno dopo anno, sono sempre e inesorabilmente aumentate: tutte! A questo si aggiunge che, giustamente!, il consumo di suolo è rallentato e va fatto rallentare sempre di più costruendo sempre meno su suolo agricolo e privilegiando la rigenerazione urbana, ma ciò ha comportato la drastica riduzione delle entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione ovvero la principale o pressoché unica fonte per finanziare gli investimenti dei Comuni (unica strada che è rimasta ai Comuni è quella di partecipare a bandi… strada comunque sempre molto in salita e per sua natura “incerta”).

Anche il quadro del personale è molto chiaro: i concorsi per diventare dipendente di un piccolo Comune incominciano sempre più spesso ad andare deserti. Molti dipendenti dei Comuni appena possono, comprensibilmente, scappano in altri Enti più grandi, dove lo stipendio è più alto e spesso le responsabilità (e il front office con i cittadini) più basse. Sono sempre meno quei dipendenti e quelle dipendenti che stoicamente resistono e restano a servire il bene pubblico all’interno dei piccoli Comuni. Non è poi un caso nemmeno vedere che sono sempre meno anche le persone che decidono di rendersi disponibili a fare il Sindaco, l’Assessore o il Consigliere Comunale di un piccolo Comune. Quindi tutto è molto chiaro, ma nessuno sta facendo qualcosa per “fermare il treno o per cambiargli la rotta”.

Come ho detto all’inizio della lettera, la Politica oggi ha la assoluta priorità di fermare la barbarie della guerra. Poi ci sono altre priorità su cui deve agire con urgenza: la Sanità e la Scuola Pubblica, l’Ambiente, il Lavoro, i Diritti (e i Doveri) dei cittadini … solo per citare quelle che secondo me sono le più importanti. Ma se contemporaneamente non si fa nulla per consentire ai Comuni di fare il loro dovere, rischia di venir meno la base per vivere bene nelle nostre Comunità e quindi rischia di crollare la base su cui costruire tutto il resto. Io non ho mollato e non intendo mollare di un centimetro, e sono certo che non intendono farlo i miei compagni di squadra qui a Pieve e i miei tantissimi colleghi Sindaci e Sindache in tutta Italia (di qualunque colore politico), ma da soli e con queste risorse e condizioni non possiamo resistere ancora a lungo.

Tanti amministratori e cittadini hanno iniziato a capire che il proprio Comune ha bisogno del loro aiuto, anche economico. Ma questa generosità non risolve il problema, è solo un gesto di amore verso il proprio paese. Ma da solo servirà unicamente (anche se non è poco) ad aumentare il senso di esser parte di una Comunità e, forse, a far capire chi ancora non vuole capire che la situazione è davvero drammatica e occorre lo sforzo di tutti, Istituzioni, Partiti e cittadini. Salvare i piccoli Comuni significa salvare l’Italia.

Luca Borsari

Pieve di Cento, 30 giugno 2025

articolo repubblica